lunedì 29 agosto 2011

Black Hand Gang (di Pat Kelleher)



Black Hand Gang

Di Pat Kelleher

Edizioni Abbadon Books

336 pagine, 7.99 Sterline

(recensione inedita)




Sinossi


Grande Guerra, fronte delle Somme. Un battaglione di fanti inglesi, comprensivo di un aereo da ricognizione e di un tank sperimentale, incappa in un incredibile e inspiegabile fenomeno fisico che lo catapulta in un mondo alieno e sconosciuto.

Tra vegetazione selvaggia, predatori famelici e una razza senziente di insettoidi, i soldati di Sua Maestà si troveranno sottoposti a una serie di durissime prove di sopravvivenza, cercando al contempo di capire dove sono finiti e se c'è un modo di tornare a casa.

Senza dimenticare che tra gli ufficiali del battaglione si nasconde un oscuro praticante di magia nera che vede in tutto ciò un'occasione imperdibile per incrementare le sue conoscenze delle arti oscure...


Commento


Alieni versus fanti inglesi della Grande Guerra: round uno.

Questa potrebbe essere la descrizione minimale eppure azzeccata di Black Hand Gang, primo volume della saga No man's world, scritta da Pat Kelleher. Quelli bravi la definiscono una saga di planetary romance, ma sfido molti di voi a spiegare cosa significa. Per scendere a un livello meno accademico direi che siamo dalle parti della fantascienza retrò – quella coi bug eyed monsters – e il dieselpunk. Della prima abbiamo (appunto) i mostri: alieni, brutti, cattivi e affamati. Del dieselpunk non mancano invece i riferimenti storici e “bullonari”, compresi i tanto amati lanciafiamme, i tank e i primi aerei da caccia, che vennero utilizzati per la prima volta a livello industriale durante la WW1.


Kelleher è un narratore molto lineare, dotato di uno stile scorrevole e pulito, senza fronzoli particolari, in grado di dosare il giusto infodump (soprattutto a inizio romanzo) e di caratterizzare il mondo alieno in modo riuscito e godibilissimo.

Black Hand Gang contiene alcuni stereotipi della fantascienza militare, ma non li lascia mai andare a inutili machismi o a gratuite trovate da soldatino eroico tutto patria e cameratismo. Il punto di vista narrativo è bipolare. Quello primario appartiene al soldato semplice Tommy Atkins, un personaggio forse un tantino monocorde ma non eccessivamente stereotipato. Quello secondario è invece affidato all'antieroe del libro, nonché la figura più azzeccata del medesimo, vale a dire il tenente Gilbert Jeffries, praticamente di magia nera e depositario di segreti oscuri che l'autore ci rivela con la dovuta cautela.

La curiosità che balza subito all'occhio degli esperti è il modo in cui il battaglione inglese viene teletrasportato in massa su un mondo alieno, evento che ricorda molto quello che si trova nelle primissime pagine de La Legione Perduta di Harry Turtledove, primo capitolo di una saga fantasy famosissima, Videssos.

A parte questo dettaglio Black Hand Gang è un libro di piacevolissimo intrattenimento, fantascienza e avventura saldate in un romanzo che regala qualche ora di assoluto divertimento. Roba che sugli scaffali italiani dedicati alla sci-fi non vediamo da anni, visto e considerato che volumi come questi vengono snobbati dai nostri amati signori editori.

lunedì 22 agosto 2011

Il 36° Giusto (di Claudio Vergnani)




Il 36° Giusto


Di Claudio Vergnani


Gargoyle editore


536 pagine, 16 euro


(Recensione del 30/08/2010)




Sinossi


Pensavamo di aver smesso di uccidere i vampiri, ma abbiamo ricominciato a farlo. Ora che e' accaduto quel che e' accaduto, e' quasi un mestiere.

Non devi piu' nasconderti per cacciarli.

Sono reietti, emarginati, abbandonati dai loro stessi Maestri.

Le retrovie di un esercito allo sbando.

Non c’e' posto per loro. Ma nemmeno per noi. E la loro presenza giustifica in qualche modo la nostra.

La loro mancanza di un futuro si intreccia con la consapevolezza della nostra quotidianita' di speranza, e le loro azioni prive di un fine si sovrappongono al nostro gesticolare che e' ormai soltanto uno stanco, sfiduciato reagire senz’anima.

Loro e noi. I vampiri e i cacciatori.

Una battaglia senza onore né gloria tra disperati, dove in mezzo stanno le prede innocenti. E forse c’e' piu' colpa in noi, che possiamo scegliere, che in loro, schiavi di una sete che non possono spegnere.

Loro sono assassini nati, noi l’estrema difesa, sempre sull’orlo dello sfascio. Ma in qualche modo ambiguo e discorde, nell’inconsapevolezza innocente dei semplici, siamo anche il fioco brillare di una speranza di un imprevedibile, brevissimo, insperato momento di giustizia.

(Quarta di copertina)


Commento


So che qualcuno di voi reputa ipocrita recensire alcuni autori italiani e altri no. Io, semplicemente, me ne frego e lo faccio solo quanto lo ritengo opportuno.

Claudio Vergnani è uno scrittore. Che sia italiano, inglese, lituano o vietnamita è un dettaglio marginale. Scrive bene, ha fantasia, proprietà di linguaggio e duttilità. Lo reputo, senza giri di parole, una delle migliori new entry dell'ultimo decennio.

Voi tutti sapete quanto ho adorato il suo romanzo d'esordio, Il 18° vampiro. Leggere il suo seguito è stata un'esperienza altrettanto gratificante, seppure diversa. E in questo c'è anche il mio rinnovato interesse per Claudio: sarebbe stato semplice ricalcare il suo primo romanzo, un successo a tutti gli effetti, effettuando solo qualche piccolo cambiamento. Forse sarebbe stato anche più semplice: i lettori-fan vogliono continuità, non dinamismo. Mi perdoneranno, ma è così.

Vergnani ha invece preso una saccocciata di coraggio è ha impostato Il 36° giusto in modo alquanto diverso, pur seguendo il senso di stretta continuità cronologica del libro d'esordio. È così che ritroviamo buona parte dei vecchi protagonisti, in primis Vergy e Claudio, calati però in un contesto diverso, che sorprende, spiazza e affascina.

Il 36° giusto è innanzitutto strutturato in tre-quattro parti strettamente legate l'un l'altra, eppure a sé stanti. Come se fossero dei racconti – meglio ancora delle novel – autoconclusivi eppure concatenati da un filo d'Arianna non invasivo, ma vincolante. Ciò permette di usufruire del libro, se questo è il termine giusto, come meglio preferite. Potete leggerlo tutto d'un fiato, oppure leggerne una parte, fare una pausa e poi tornarci a bomba.

Di solito non commento la struttura dei romanzi ma in questo caso mi pareva giusto farlo. Beh... l'ho fatto. Andiamo oltre.

Il contesto in cui Claudio ci porta lo si può dedurre dalla (non)sinossi di inizio articolo. I vampiri che alla fine del primo libro hanno compiuto una discreta strage nel modenese si sono ritirati nei loro rifugi, lasciandosi dietro solo i più stupidi e gli inetti, creature più simili a zombie romeriani che non ai fascinosi non morti di Anne Rice. Gli umani, e le autorità con loro, hanno fatto però in fretta ad accettare la nuova realtà. I vampiri esistono davvero? Okay, ne prendiamo atto. Spazziamoli via, prima che decidano di ciucciarci come Calippi. A dire il vero questi mostri reietti e derelitti non sono nemmeno difficili da (ri)ammazzare, non con la luce del giorno. Ed è così che Vergy e Claudio, i due antieroi più antieroi della storia dell'horror, trovano un nuovo lavoro - alle dipendenze! -, gli ammazzavampiri a cottimo.

Avete presente Van Helsing? Ecco: dimenticatevelo. Non ha NULLA da spartire coi protagonisti di questo romanzo. In primis perché i nostri sono dei disperati, dei nullatenenti, disillusi dalla vita e spinti solo dalla necessità di far qualcosa, non dall'etica o dalla morale. Almeno in apparenza. In secondo luogo perché ammazzare vampiri non ha davvero nulla di romantico. Vuol dire affondare i gomiti nel sangue, nella merda, strappare teste e far saltare carcasse ambulanti.

Ed è questo che Vergy, Claudio (ma poi anche Gabriele e altre ottime new entry) fanno per buona parte del romanzo. Manca forse un intreccio thrilleristico, che faceva da struttura portante de Il 18°vampiro. Eppure, leggendo tra le righe, si capisce che l'autore utilizza questo seguito per costruirne una più solida e complessa che, prendetela come un'anticipazione in anteprima, andrà a formare il terzo e ultimo capitolo della saga.

Vergnani dà il meglio di sé nei dialoghi, spassosi, crudi, divertentissimi e al contempo spietati. Ricordo a fatica un altro autore che riesce a ricamare con raffinatezza delle conversazione dense di torpiloqui, insulti e parolacce. Per me questa è arte, non si discute. Al contempo, quando si deve calcare la mano sull'aspetto horror, l'autore lo fa in modo brutale, rischiando più volte di causare nausea e brividi ai lettori. Metteteci infine, ma non per importanza, alcune considerazioni serissime sulla vita e sulla nostra “bella” società, disseminate con sapienza qua e là, senza mai apparire demagogiche o moralistiche, e quel che ne ricaverete è un romanzo imprescindibile, se volete parlare, discure e dibattere sul futuro della narrativa di genere in questo sfigatissimo paese.


mercoledì 17 agosto 2011

The Rising: Selected scenes from the End of the World



The Rising: Selected scenes from the end of the World

Di Brian Keene

Edizioni Delirium Books (in lingua inglese)

212 pagine, 12.20 dollari

(recensione del 23/07/2010)



Sinossi


The Rising e il suo seguito, City of the Dead, hanno rivitalizzato la narrativa horror, regalando ai fan del sottofilone zombie una nuova saga da celebrare. Questa antologia di racconti brevi getta uno sguardo molto più ampio sul mondo apocalittico immaginato dal geniale Brian Keene.

Selected scenes from the end of the World (d'ora in poi SSEW) contiene 32 storie basate sugli eventi narrati nel celebre dittico keeniano. Si va dai primissimi istanti in cui l'invasione dei Siqqusim (gli spiriti demoniaci che trasformano la gente e gli animali in mostri antropofagi) ha inizio, fino ad arrivare alla vera e propria fine dei giorni, quando altre creature infernali, perfino peggiori dei Siqqusim stessi, varcheranno le porte per il nostro mondo, distruggendolo del tutto.

Un tour dell'orrore che va dagli Stati Uniti all'Australia, dall'Inghilterra alla Norvegia.

Commento


SSEW è in parte un'opera furbetta, che sfrutta il successo del dittico più famoso in tema di zombie e apocalissi horror. Due soli romanzi, secondo gli standard odierni, sono davvero pochi, quindi questa antologia va a sfruttare una nicchia di mercato che senz'altro ha ancora molto spazio libero.

Ciò nonostante Keene approfitta dell'occasione per spaziare nella sua ambientazione più riuscita, senza più porsi vincoli temporali o geografici, che gli erano invece imposti in The Rising e City of the Dead. Risulta particolarmente riuscita la scelta di ripartire i 32 racconti brevi su un asse di tempo che va dai primi momenti dell'invasione Siqqusim al giorno in cui essi diventano i padroni incontrastati di una terra morente e irriconoscibile.

L'inizio, va detto, è piuttosto fiacco. I primi tre-quattro racconti non sono nulla di che, esercizi di stile poco soddisfacenti. Poi, quando il dilagare degli zombie demoniaci è oramai palese, Keene schiocca le dita delle mani e inizia a buttar giù storie di grande impatto emotivo. Come sempre lo scrittore statunitense è grandioso nell'amalgamare horror puro, cinematografico, a momenti di intensa umanità, ma inseriti in modo così naturale e spontaneo da non sembrare mai forzati.

Chi cerca storie a lieto fino può tranquillamente evitare l'acquisto di SSEW. Keene non ci pensa nemmeno a regalare qualche speranza ai lettori. Il lusso massimo che è concesso ai suoi personaggi è quello di morire con dignità, senza essere posseduti dai Siqqusim e da essi obbligati a divorare parenti e amici.

Qui parliamo di fine del mondo e fine del mondo è. Nessuna titubanza nel distruggere tutto e nel massacrare chiunque, da un capo all'altro del pianeta.

Se più o meno a metà dell'antologia ravvisiamo un nuovo momento di down, non c'è da preoccuparsi. Dura il tempo di un racconto o due, poi la gloriosa marcia funebre riprende alla grande.

Tra l'altro Keene sfrutta SSEW per regalarci qualche informazione supplettiva riguardo a ciò che accadrà dopo che i Siqqusim ci avranno distrutto. Come già accennato in City of the Dead, i demoni antropofagi non sono altro che le avanguardie di alcuni loro “cugini”, gli Elilum e i Teraphim, incaricati a loro volta di possedere e distruggere il regno vegetale e quello degli insetti. Per poi muoversi oltre.

Solo citati nel dittico di romanzi, Elilum e Teraphim fanno capolino in SSEW regalandoci quelli che sono forse i due migliori racconti dell'antologia.

Per chi conoscere anche gli altri lavori di Keene ci sono ulteriori regali: agganci, rimandi e strizzate d'occhio a The conqueror worms, Ghoul e Dark hollow.

In sostanza: un'antologia non imprescindibile, ma valida, solida e realizzata con molta professionalità e mestiere.

giovedì 11 agosto 2011

The Dome (di Stephen King)



The Dome

Di Stephen King

Sperling & Kupfer editore

1037 pagine, 23.90 euro

(Recensione del 31/10/09)




Sinossi


È una tiepida mattina d'autunno a Chester's Mill, nel Maine, una mattina come tante altre. All'improvviso, una specie di cilindro trasparente cala sulla cittadina, tranciando in due tutto quello che si trova lungo il suo perimetro: cose, animali, persone. Come se dal cielo fosse scesa la lama di una ghigliottina invisibile. Gli aerei si schiantano contro la misteriosa, impenetrabile lastra di vetro ed esplodono in mille pezzi, l'intera area - con i suoi duemila abitanti - resta intrappolata all'interno, isolata dal resto del mondo. L'ex marine Dale Barbara, soprannominato Barbie, fa parte dell'intrepido gruppo di cittadini che vuole trovare una via di scampo prima che quella cosa che hanno chiamato la Cupola faccia fare a tutti loro una morte orribile. Al suo fianco, la proprietaria del giornale locale, un paramedico, una consigliera comunale e tre ragazzi coraggiosi. Nessuno all'esterno può aiutarli, la barriera è inaccessibile. Ma un'altra separazione, altrettanto invisibile e letale, si insinua come un gas velenoso nel microcosmo che la Cupola ha isolato: quella fra gli onesti e i malvagi. Tutti loro, buoni e cattivi, dovranno fare i conti con la Cupola stessa, un incubo da cui sembra impossibile salvarsi. Ormai il tempo rimasto è poco, anzi sta proprio finendo, come l'aria...


Commento


È da molto tempo che sono assai duro nel giudicare ciò che esce dalla penna di Stephen King. Questo scrittore mi ha formato, accompagnandomi nei cosiddetti “anni più belli”, di romanzo in romanzo, tra incubi e poesia. Poi il crollo creativo e qualitativo, che mi ha fatto disinnamorare di lui.

Perchè io non sono un “fan”, e quindi riesco ancora ad avere quella razionalità minima e indispensabile per giudicare un libro senza considerare il nome e il medagliere di chi l'ha scritto.

“The Dome”, a cui mi sono avvicinato con estrema circospezione, è stato il riscatto di King ai miei occhi. Il perchè potrebbe essere riassunto in una frase che significa tutto e niente: “The Dome” è un romanzo che sembra scritto da un'altra persona, al contempo senza perdere le migliori caratteristiche kinghiane.

Lo si vede fin dall'inizio. I fatti si manifestano subito, facendo entrare i lettori nel cuore della storia già dalla terza pagina. Un record assoluto per il Re, che di solo ama sfiancarci con delle introduzioni di una prolissità devastante. Lo temevo anche in questo libro, considerandone anche la spaventosa mole, invece questa volta sono rimasto spiazzato.

Niente pappardelle psicologiche, niente aperta-parentesi che durano duecento pagine: qui si parte in quarta, e il crescendo di tensione riesce a tenersi a livelli accettabili per quasi tutto il romanzo. Praticamente un record. Proprio per questo motivo dico e ribadisco che “The Dome” sembra poco kinghiano.

La storia, riassunta decentemente nella sinossi copiata da IBS, mi ha da subito ricordato un serial che da noi è passato quasi inosservato, ma che ha grandi meriti e coraggio: Jericho. Le atmosfere sono molto somiglianti, l'ambientazione e i protagonisti pure. Prendete anche solo l'eroe del romanzo, l'ex capitano dei marines Dale Barbara. Non vi ricorda forse Jake Green, il giovane ex militare che torna nella cittadina di Jericho poco prima del disastro?

Somiglianze casuali? Può darsi, anzi, è probabile. Ben lungi da me l'idea di parlare di plagio, anche perchè la storia di King si sviluppa su binari differenti rispetto a quelli del serial. Tuttavia sappiatelo: se vi sono piaciuti i presupposti portanti di Jericho, vi piacerà anche questo romanzo.

Punto di forza assoluto di “The Dome” è il microcosmo che l'autore riesce a creare nel descrivere la classica comunità rurale che rimane bloccata dal resto del mondo per colpa della misteriosa Cupola, che agisce come un campo di forza invisibile e impenetrabile. In pochi giorni il paese di Chester's Mill diventa una sorta di dittatura in miniatura, retta dalla paura e dall'inganno, ma ancor più dall'ignoranza, tipica di chi vive in piccole comunità, imparando a temere il mondo esterno.

King ritorna quindi su alcune tematiche già trattate in passato: la rozzezza dei provinciali, l'ipocrisia di chi si aggrappa a una Fede cieca e di convenienza, la duplice natura dell'essere umano. Non mancano moltissimi stereotipi: il politico affabulatore e corrotto, la polizia locale inetta e violenta, la tossica del paese, l'ubriacone, il forestiero usato come capro espiatorio, l'adolescente geniale, la mamma complessata, il vecchietto eroico, il prete invasato etc etc.

“The Dome” è il paradiso degli stereotipi, a guardare bene. Ma King è bravo ad affascinare e a coinvolgere il lettore, tanto che dopo meno di cento pagine ci si fonde pienamente con Chester's Mill, al punto da diventarne a nostra volta abitanti.

Per non spoilerare non posso rivelare nulla sulla natura della Cupola e sull'elemento fantastico utilizzato questa volta dal Re. Diciamo solo che lo introduce in modo lieve e ben poco invadente, preferendo invece puntare sul lato “sociale” della storia, ovvero l'imbarbarimento di un paese lasciato a se stesso, così irraggiungibile da sembrare una colonia marziana.

Il finale, che spesso rappresenta il punto debole di King, risulta invece molto potente ed evocativo, a eccezione delle ultime quattro, cinque pagine, che potevano benissimo essere scritte in modo più adeguato a concludere le mille precedenti.

In sostanza “The Dome” è un lavoro molto buono, adatto anche ad avvicinare nuovi lettori, tra coloro che non hanno mai letto qualcosa dello scrittore del Maine. Certo, c'è quest'abbondanza di personaggi e fatti secondari che, se da una parte affascinano, dall'altra potevano essere tranquillamente tagliati in fase di editing. Ma il Re è così: prendere o lasciare.

Questa volta prendo.

lunedì 8 agosto 2011

Malarazza (di Samuel Marolla)



Malarazza

di Samuel Marolla

Epix Mondadori n°8

251 pagine, 4.90 euro

(Recensione del 16/11/2009)




Sinossi


È l'ombra ignota che sussurra alle nostre spalle. È l'ultimo vicolo infame della megalopoli corrotta. È la mannaia incrostata con la quale vengono perpetrati orribili delitti. È la cantilena ossessiva ripetuta senza fine da voci maledette. È il cane mutilato che sembra uscito da un incubo allucinatorio. È la congregazione di dementi pronta allo sterminio nell'attesa dell'Apocalisse. È il calderone ribollente dal quale tracima schiuma nera e infetta. È l'affabulatore cieco che conosce tutte le strade del mondo dei non-morti. È l'indifferenza letale di chi sa ma sceglie di guardare dall'altra parte. Tutto questo e molto, molto di più, è il popolo delle tenebre, la Malarazza.


Commento


Non conoscevo affatto Samuel Marolla. Per questo la pubblicazione della sua antologia per Epix (collana Mondadori da edicola, recentemente chiusa, N.D.R.) mi aveva un po' spiazzato. Anche perché, dalle solite leggende metropolitane che circolano nell'ambiente, le antologie di esordienti di solito non vengono calcolate nemmeno di striscio dagli editori.

Sta di fatto che, comprato e letto il libro di Marolla, devo dire che sarebbe stato un peccato mortale non pubblicarlo.

I racconti di questo scrittore milanese sono, senza fare troppi giri di parole, quanto di meglio ho trovato nel campo della narrativa breve di genere negli ultimi anni.

Storie molto dark, ma senza mai rinunciare a una spruzzata di humor nero, con ambientazioni prettamente italiane (anzi, milanesi), che vanno a ridefinire il concetto di horror metropolitano, mischiando vecchie suggestioni tipiche di questo settore, con nuovi spunti che prendono qua e là tra cinema e fumetti.

Si va dalle bambine demoniache di Sono tornate alla Milano spettrale e ferragostana de La pista ciclabile. Passando da una fiaba nera come Tè nero, per arrivare al racconto in stile Ai confini della realtà, Candelora. Tralasciando un solo passo falso, l'inutile Tequila e peccati, Marolla sfiora anche il genere splatter, che per fortuna però viene confinato a un unico racconto. Dico per fortuna perché l'autore si fa apprezzare soprattutto nelle sue storie che ammiccano a fantasmi moderni, che abitano condomini miasmiali, a streghe vestite da vecchie signore rimbambite, che abitano nella periferia della città, a culti lovecraftiani insiediati in quartieri sonnolenti e anonimi.

Sangue e frattaglie non servono a Marolla per creare piccoli quadri di orrore nascosto, quotidiano ma non banale, bensì aperto a sguardi su altre dimensioni, quelle dell'ignoto.

Una delle cose che più si apprezza nella raccolta è il susseguirsi di racconti ambientati in estate, invece che nei consueti inverni nebbiosi.

Per chi conosce Milano è indubbio che proprio i mesi più caldi (agosto in particolare) sono anche i più spettrali e borderline. Col caldo la gente normale fugge al mare o si chiude nei supermercati refrigerati dall'aria condizionata, mentre nei vicoli, nei parchi colpiti dalla canicola, fanno capolino tizi strani e storie inquietanti.

Ecco, Marolla dà il meglio di sé in queste prove, ottenendo risultati superbi.

La mia personale classifica:

1. La pista ciclabile

2. Tè Nero

3. L'estraneo

Sarebbe interessante vedere l'autore alle prese con qualcosa di più lungo, ma ho il sospetto che la sua dimensione sia proprio quella della narrativa breve. Ci voleva uno così.

Riassumendo: la migliore uscita della collana Epix dalla sua nascita a oggi, nonché la migliore antologia horror che ho letto negli ultimi - esageriamo - cinque anni.

Acquisto non suggerito, bensì indispensabile. (Ora, a distanza di due anni, Malarazza risulta quasi introvabile).

martedì 2 agosto 2011

The Twelve (di J.M. Staczynki e Chris Weston)



The Twelve

di J.M. Staczynski e Chris Weston

Panini Comics

144 pagine, 13 euro

(Recensione del 19/03/09)



Sinossi


Anche se sotto il nome originario di Timely Comics, la Marvel era in attività fin dagli anni '40. Proprio di quel periodo è la creazione di Capitan America e di Namor, ma anche di una pletora di personaggi minori. Questi ultimi, però, a differenza dei personaggi sopra citati, si sono poi persi nelle nebbie del tempo, non riuscendo più a trovare una loro ragion d’essere durante il declino della prima generazione di supereroi, e rimanendo tagliati fuori dall’Universo Marvel. Fino ad oggi.

Catturati da un gruppo di nazisti durante le ultime battute della Seconda Guerra Mondiale e posti in animazione sospesa, dodici di essi vengono abbandonati a se stessi per lunghi decenni. Passati più di sessant’anni, la loro cripta viene accidentalmente scoperta ai giorni nostri, e l’esercito degli Stati Uniti decide di risvegliarli per farne i perfetti eroi americani nella sconquassata realtà post Civil War. Ma dagli anni '40 ad oggi l’America è cambiata non poco, e con questo si dovrà fare i conti.

(fonte: http://www.comicus.it/)


Commento


The Twelve rientra di diritto in quella serie di prodotti Marvel destinati a un pubblico maturo, non desideroso di vedere solo supereroi che si menano tra di loro con la più banale delle scuse.

I dodici protagonisti di questa saga sono anacronistici, retrò, fuori dall'ordinario (se di ordinario si può parlare, trattandosi comunque della Marvel) e decisamente molto tristi e malinconici. Non potrebbe essere altrimenti, visto che si sono risvegliati da un sonno criogenico che li ha catapultati dal 1945 al 2008: due epoche così vicine, eppure così diverse, da risultare quasi aliene ai supereroi venuti dal passato.

Al disagio di trovarsi in un mondo nuovo (forse nemmeno migliore), si aggiunge lo shock di aver perso ogni persona cara conosciuta in passato: amici, parenti, compagni. E, in quell'unico caso in cui c'è ancora qualcuno vivo a incontrare uno dei dodici, le cose non vanno affatto come previsto.

Tagliati fuori dalla loro vecchia vita, i dodici reagiranno dapprima come gruppo, accettando di tornare a lavorare per il governo statunitense, per poi pian piano subire, ognuno a suo modo, l'impatto con la loro nuova esistenza.

Staczynski è bravo nel dare spazio individuale a ciascuno dei dodici, creando così una serie di sottotrame quasi tutte riuscite e molto profonde dal lato umano. Abbiamo così Captain Wonder, che richiama il più noto Cap. America, senza però averne il positivo patriottismo che gli fa superare ogni avversità. Ritrovarsi senza moglie e senza figli (morti, come scoprirà, in “un posto chiamato Vietnam”) lo rendono apatico e infelice, al punto di non sapersi adattare alla sua nuova vita.

Oppure Excello, dotato di sensi straordinariamente sviluppati e di un'intelligenza sopraffina, ma incapace di sopportare il caos generato da quello che per lui è il mondo del futuro, della fantascienza così come era concepita negli anni '40.

O, ancora, Dynamic Man, colui che tra i dodici più si troverà meglio nel rivestire nuovamente i panni del supereroe, anche se, come lui stesso ammetterà, il suo perenne stare in azione è una forma di autodifesa per non impazzire al pensiero di ciò che è successo a tutti loro.

La storia più commuovente è forse quella di Rockman, il gigante buono, convinto di essere il Re di un regno sotterraneo che prima o poi ritroverà. Al contrario, come i lettori scopriranno, la sua storia è assai più tragica e realistica di quanto lui pensa.

Oltre alle storie personali di ciascuno dei dodici, Staczynski riesce a sottolineare le grandi differenze tra ciò che si pensava potesse diventare “il mondo del futuro”, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e ciò che è invece diventato nella realtà. Molti sogni sono rimasti tali, e le speranze del passato sono andate in una buona parte disilluse.

The Twelve ci mette dunque davanti a uno specchio: quale era il mondo che i nostri nonni hanno cercato di costruire con sangue e sudore, e in che modo abbiamo tradito i loro ideali?


In sostanza si tratta dunque di un prodotto di buona qualità, per certi versi sofisticato, di certo da non intendersi come solo e semplice divertimento. La caratterizzazione dei personaggi è riuscita e credibile, visto che sono quanto di più lontano esiste rispetto ai variopinti e stereotipati eroi in calzamaglia proposti agli albori della Marvel-Timely Comics.