venerdì 23 dicembre 2011

La mezzanotte del secolo (di Samuel Marolla)




La mezzanotte del secolo

di Samuel Marolla

Edizioni XII

320 pagine, 16.50 euro












Sinossi

Milano è una città antica, più dell'impero romano e dei celti che l'hanno fondata, ma è anche moderna, multietnica.
Possono giungervi da lontano storie calde come un pugno di sabbia, possono farvi ritorno individui costretti a guantarsi le mani - con il cuoio, in punta di dita, spinto da unghie nere e affilate.
Uomini armati di oscuri desideri, e di pistole.

Nella Milano odierna, metallica e luminosa, possono risvegliarsi creature sopite da secoli nei loro nidi di tenebra al neon.
Riapriranno gli occhi e si solleveranno, su piedi, su zampe o su ali, allo scoccare della Mezzanotte del Secolo.

Commento

Spero che Samuel non ne avrà se affermo che, dalla prima volta che ho letto qualcosa di suo, ho pensato di aver ritrovato una sorta di gemello sconosciuto perso per una Milano paradimensionale e invisibile.
Le tematiche, lo stile e le storie di Samuel Marolla sono quelle che vorrei scrivere io, se fossi bravo come lui a sintetizzare la paura e l'inquietudine utilizzando l'elemento fantastico in un contesto quanto mai urbano e quotidiano.
Ma io non sono Marolla, però sono un suo fan, tanto che potrei farmi tatuare sul petto, come fanno certi criminali russi, “IO LEGGO SAMUEL MAROLLA”.

La vita degli esordienti di talento è sempre difficile, in qualsiasi campo.
Succede che nessuno li conosce, poi saltano fuori, sfoderano una prestazione da urlo (che sia un libro, un disco, un film, una partita di calcio: non importa) e subito la gente si innamora di loro.
Confermarsi è un altro paio di maniche. Confermarsi è difficile, così come risulta complicato soddisfare le esigenze di questo particolare tipo di pubblico, che di solito riunisce individui particolarmente esigenti, stanchi della mediocrità assoluta e imperante.

Prendiamo uno scrittore come Samuel: talento sopraffino, ma allo stesso tempo penna empatica, che parla al lettore senza quella spocchia insopportabile e odiosa tipica di una certa generazione di scribacchini italiani. Mi riferisco a quelli che scrivono con la puzza sotto il naso, che sventolano la loro cultura facendo intendere “io so cose che voi, pezzenti, nemmeno v'immaginate”.
Mi riferisco ai wu-minghi e a quella generazione lì. Ah, sono cose che non si dicono? Vabbé, ma qui è zona franca, qui c'è libertà di parola.
Dicevamo, dunque: Samuel era fin dall'inizio un predestinato, con tutti i rischi descritti poco sopra. Dopo l'esordio – alla grandissima – con Malarazza, erano in tanti ad attenderlo al varco.
Bene, La Mezzanotte del Secolo non tradisce le attese. Anzi: conferma tutto il bene che si è detto e scritto sull'ottimo autore milanese.
Marolla stringe un patto (diabolico?) che lo lega a Edizioni XII e insieme ci regalano una nuova antologia di racconti del fantastico e dell'orrore. Pare che proprio questo formato medio-breve sia il più congeniale allo scrittore, che evidentemente ha voglia e mezzi per spaziare in vari sottogeneri, senza sfiancarsi su uno soltanto.

Ne La Mezzanotte del Secolo di storie ce ne sono ben nove, alcune abbastanza lunghe da poter essere definite vere e proprie novel. Chi mi segue sa quanto adoro questo formato.

Si parte con “Tenebre al neon”, storia di demoni in forma umana, creature viscide e amorali che abitano una Milano tanto familiare quanto occulta, nutrendosi del dolore e della paura.
Marolla passa poi a “Nuove vite”, racconto ispirato a e da Dino Buzzati. Storia di nostalgia che racconta il trauma del passaggio al mondo degli adulti, in quei trent'anni che per ciascuno di noi rappresentano una sorta di linea di confine tra la vita fatta di amici e compagnie e quella caratterizzata da mogli, mariti e figli. Ma “Nuove Vite” parla di tutto ciò in chiave horror e lo fa davvero bene.
“Il tatuaggio di ghiaccio” parla invece di una creatura antica, forse una ninfa delle acque, forse un fantasma, forse un demone dimensionale, e del suo interagine nel nostro mondo apparentemente razionale e immutabile.
“Una notte al Ghibli” è un racconto che prende spunto dai tanti, veri X-files che ogni comando di Polizia conosce, ma di cui nessuno parla perché, si sa, certe cose non sono vere...
“Il ninja bianco” è una storia breve e struggente di amore, morte e solitudine.
“Insonnia” fa il verso al celebre romanzo di King, Insomnia, solo che lo supera di qualche spanna. Un vecchio pensionato milanese si trova ad affrontare delle creature secolari che abitano il corpo di alcuni giovani teppistelli. Non vi dirò di più...
“Assenza” mi ha invece ricordato alcuni dei migliori episodi de Ai confini della realtà, e mi ha procurato ben più di un brivido (complice il fatto di averlo letto in un treno semivuoto e fermo nel bel mezzo del nulla, tra Milano e il mio paesello).
“Luoghi oscuri” parla di vendetta, di magia del Piccolo Popolo ma anche di stregonerie tzigane.
Infine “Ultima sambuca al Bar dell'Ortica” è una storia che rievoca i tempi a loro modo leggendari della mala milanese, ma lo fa, al solito, in termini... sovrannaturali.

Nove racconti senza cadute e senza delusioni.
I miei preferiti sono senz'altro “Insonnia” e “Tenebre al neon”, ma anche il breve e malinconico ninja bianco ti lascia qualcosa dentro, qualcosa di forte, intendo.

La mezzanotte del secolo è un signor libro, horror/fantastico all'italiana senza prese in giro al lettore e con chiaro amore per il genere e ampia conoscenza del medesimo.
Senza stancarvi con altre inutili parole vi dico soltanto: compratelo.

mercoledì 14 dicembre 2011

Hater (di David Moody)



Hater

di David Moody

Gollancz book

$ 5.60 (paperback) $ 8.34 (Kindle ebook)









Sinossi

Danny McCoyne è un impiegato comunale di una cittadina inglese. Il suo lavoro non gli piace, la famiglia – composta dalla moglie Lizzie e dai tre figli, di cui in età scolastica – lo opprime. Ha un brutto rapporto col suocero Harry, che non l'ha mai apprezzato. Per non parlare delle vessazioni che subisce ogni giorno dalla sua responsabile.
C'è ancora qualcosa che può andare male nella vita di Danny?
A quanto pare sì.
Giorno per giorno in tutto il paese aumentano gli inpiegabili casi di violenza selvaggia che portano a omicidi bestiali ed efferati. La gente sembra impazzire di punto in bianco, senza una ragione apparente. Quelli che sono dapprima casi isolati diventano episodi in crescita esponenziale.
Nel giro di un paio di settimane la crisi, seppur minimizzata dal Governo, è nazionale.
A quel punto Danny McCoyne avrà un preciso obiettivo nella vita: difendere la famiglia.
Sperando che al contempo essa non impazzisca come succede agli Odiatori là fuori...


Commenti

Hater è il primo romanzo di David Moody che leggo.
Da quello che s'intuisce sbirciando il suo sito ufficiale, Moody è uno “zombie guy”, ossia una specie di Brian Keene in versione inglese. Insomma: un autore che basa buona parte della sua carriera su romanzi incentrati su zombie, pandemie e catastrofi globali in salsa horror.
Uno di noi.
La trama di Hater non si discosta molto dai capisaldi del genere. Abbiamo la misteriosa epidemia che pian piano si diffonde in tutto il paese. C'è il governo ottuso che cerca di insabbiare tutto. Ci sono le reazioni più o meno egoiste della gente, che mettono a nudo il lato peggiore dell'essere umano.
Però Moody ha aggiunto quel pizzico di ingredienti bonus che mi hanno fatto apprezzare il suo romanzo più di molti altri.
Innanzittutto il protagonista, Danny McCoyne. Un uomo come tanti, uno sfigato che si trova intrappolato in un lavoro d'ufficio con dei colleghi odiosi, e a casa con dei bambini insopportabili e con una moglie ancora legata al vecchio padre. Danny non è un eroe, non è Superman, non ha particolari pregi, capacità o risorse. È un medio-man a tutti gli effetti.
Trovo apprezzabilissima la scelta di farne il protagonista di una pandemic-apocalypse.

Così come è apprezzabile il crescendo della storia. Le prime 30-40 pagine ci descrivono la vita, noiosa e deprimente, della famiglia McCoyne. Noiosa perché non ha nulla di esaltante: lavoro, casa, spesa, DVD, visita al nonno. Sembra quasi di aver sbagliato romanzo e di aver acquistato il solito mainstream. Proprio per questo quando l'orrore (il perturbante) esplode, colpisce ancor più nel segno. Stupisce e coinvolge. Mica roba che si trova tutti i giorni, in romanzi di questo genere.

Altra nota di merito: non ci sono zombie. Gli odiatori ricordano piuttosto i pazzi de La città verrà distrutta all'alba, almeno in apparenza, ma la causa di questa pandemia di follia rimangono molto sul vago, nonché tratteggiati senza mai abbandonare un'atmosfera di mistero e di giallo. Del resto non sta certo ai McCoyne scoprire perché sta accadendo tutto ciò.
Ai McCoyne tocca solo cercare di sopravvivere.
Anche se c'è un grosso, grosso colpo di scena ad attendere i lettori. Non vi dico quale per non rovinarvi la sorpresa, ma vi assicuro che si tratta di qualcosa di spettacolare. Una trovata che ha sorpreso anche un lettore scafato come me.

Ottimo romanzo. E' il primo di una trilogia, ma può essere letto anche come libro a sé stante.

Hater è stato recentemente pubblicato in Italia da Urania.

venerdì 9 dicembre 2011

Death, il grande momento della tua vita



Death, il grande momento della tua vita

di Neil Gaiman e Chris Bachalo

De Agostini editore

112 pagine, 9.95 euro






Sinossi

Hazel e Foxglove vedono la vita intorno a loro cambiare: la fama, la maternità, il desiderio di nascondere il loro vero io le spnge a non voler continuare con la loro vita, con l'amore, con l'esistenza... Forse l'unico modo per andare avanti è abbracciare Death, la sorella di Morfeo, il re dei Sogni.
Recuperando i personaggi creati su The Sandman, Neil Gaiman ci offre un brillante racconto sulla fugacità dei sogni, sull'impossibilità di amare. Il volume comprende l'episodio di death commemorativo dell'11 settembre, finora inedito.

Commento


Death potrebbe servire da lezione a tutti coloro che ancora pensano al fumetto come a un prodotto di serie B, per ragazzini brufolosi. Leggendolo capirebbero che anche in questo campo si può produrre Arte e offrirla al pubblico.

In mille romanzi, film e fumetti abbiamo visto l'antropomorfizzazione della Morte, ma qui Gaiman riesce a offrircene una versione del tutto originale. Morte è una ragazza giovane e carina, col sorriso sulle labbra e con una grande comprensione per il genere umano. Non è spietata né fredda, bensì consapevole della più grande difficoltà che incontrano i viventi: vivere la propria vita.
Morte incrocia il cammino d'una coppia di donne lesbiche e del loro bambino, il cui respiro si ferma nel sonno. La madre allora si offre al posto del bimbo...
Non abbiate paura: non c'è nessuna storia strappalacrime all'orizzonte, bensì una favola malinconica ma velata di ironia atta a sdrammatizzare i risvolti più cupi della vicenda.
I protagonisti della graphic novel sono tratteggiati con maestria e senza compromessi coi varie stereotipi di facile consumo.
Foxglove è una giovane cantante di successo e con grandi prospettive di successo, ma il prezzo da pagare è il progressivo allontanamento dalla donna che ama, Hazel. Foxglove vive una di un'esistenza fatta di menzogne, nella quale non può dichiarare la sua attrazione per le donne, per non alienarsi le simpatie dei fans. Al contempo però non riesce a rinunciare quella prigione dorata in cui ha trovato soldi, avventure, amanti, fama.
Come già detto, Hazel, la sua donna, vede allontanarsi Foxglove man mano che il suo lavoro, e le sue esigenze di segretezza, le portano via sempre più tempo.
Sarà l'incontro del figlio di Hazel con Morte a dare a entrambe l'ultima possibilità di cambiamento, e a insegnare che troppo spesso noi umani siamo troppo impegnati a fare altro per ricordarci di essere vivi.

In questa storia non ci sono argomenti leggeri o di poco conto: amore, il senso della vita e della morte, il valore del sacrificio, l'amicizia. Sarebbe stato facile scadere nella banalità o nel melenso, invece Gaiman evita tutto questo e ci regala una favola chiaro-scura che è un perfetto esempio di equilibrio narrativo e intrattenimento che procede a braccetto con l'Arte pura.

martedì 6 dicembre 2011

L'anno dei dodici inverni (di Tullio Avoledo)



L'anno dei dodici inverni

di Tullio Avoledo

Einaudi

377 pagine, 19 euro








Sinossi

Gennaio 1982, un vecchio bussa alla porta di casa della famiglia Grandi incantandola con una storia che lo legherà indissolubilmente a loro: sta facendo uno studio sui bambini nati il giorno di Natale nella regione e vuole incontrarli una volta l'anno per seguirne la crescita. Chi è quell'uomo? E, soprattutto, come fa a sapere tante cose sul futuro? In quello stesso 1982 un ragazzo brillante e confuso intraprende la sua strada nel mondo, una strada che presto diverrà un vicolo cieco. Riuscirà a sottrarsi al suo destino? Nel 1997, due donne - la vedova Grandi e sua figlia Chiara, ormai adolescente sono in vacanza in Versilia, ma un incontro imprevisto cambierà per sempre le loro vite. In un prossimo futuro, in una Londra resa irriconoscibile da una guerra, un anziano poeta chiede udienza alla Chiesa della Divina Bomba. Dice di avere una proposta e una richiesta: vuole stringere un patto che può far rivivere, anche se in modo diverso, l'antico mito di Orfeo ed Euridice. Comincia cosi un viaggio incredibile che chiarirà ogni cosa, e dopo il quale niente sarà più lo stesso...


Commento


Che Avoledo sia da anni una delle penne più importanti del nostro paese non lo scopro di certo io. Semmai posso vantarmi di aver letto tutti i suoi libri, quando ancora non era uno scrittore da Einaudi, il salotto buono dell'editoria italiana.

Ora tanti recensori dall'ego lungo da qui a Melbourne ne parleranno come di un autore destinato a entrare nei classici, di quelli su cui magari un domani si sprecheranno quintali di alberi abbattuti per scrivere pomposi saggi autoreferenziali. A me invece piace partire da un presupposto ben diverso.

Tullio Avoledo è l'uomo (l'unico, credo), che ha riportato la fantascienza sugli scaffali più importanti delle librerie italiane. Sì, okay, esistono tante realtà underground che si occupano di questo campo. C'è anche Urania, coi suoi alti e bassi, che non sempre riesce a proporre romanzi decenti (non per colpa dei redattori, ma proprio perché oramai si scrivono pochi romanzi di sci-fi decenti).

Ma Avoledo è diverso. Lui riesce a rifilare la fantascienza sotto il naso di chi mai la leggerebbe volontariamente. Lo fa mascherandola da racconto esistenziale, da classico moderno, perfino da romanzo d'amore.
E, intendiamoci, “L'anno dei dodici inverni” è tutto questo e anche qualcosina di più.

I temi centrali del libro sono due: la storia d'amore di Chiara Grandi ed Emanuele Libonati, e il concetto di viaggio del tempo. Mai obsoleto, sempre affascinante. Chi cerca una bella storia, anche toccante, sarà soddisfatto dalla prima interpretazione del romanzo. Chi invece ama la fantascienza intelligente e pensata, andrà in sollucchero gustandosi le perle centellinate (è la parola giusta) da Avoledo.
L'amore per Philip K. Dick è talmente evidente che lo scrittore friulano s'inventa un futuro prossimo in cui esiste una religione dedicata Dick stesso, ma che mischia anche elementi e suggestioni tratte da un “videogioco del passato”, Fallout 3.

Ma i capitoli riservati al futuro compariranno solo alla fine del libro. Il principio invece è ambientato in un arco di tempo che parte dal 1982 e copre diversi anni, seguendo la nascita, la vita e la morte di Chiara Grandi. Questo, almeno, è ciò che è avvenuto nel passato dell'Universo A. Quel che invece si accinge a fare il protagonista, Emanuele Libonati, è tornare indietro nel tempo e raddrizzare quella singola vita, affinché essa non si autodistrugga. Anche se questo vorrà dire non poterla più conoscere come amante e compagna nel futuro.
Orfeo e Euridice, per l'appunto.

Lo stile di Avoledo è il solito, a cavallo tra il poetico e il concreto. Non c'è nulla, nella sua scrittura, che è messo lì per caso. Anche quando così sembra, non illudetevi: tutto, anche i piccoli dettagli, arrivano prima o poi a confluire nella solida struttura programmata con certosina abilità.

Una lieve caduta di ritmo la si coglie semmai a metà romanzo, quando (ma lo scopriremo poi), assistiamo a come sarà la vita di Chiara Grandi dopo l'intervento retroattivo di Emanuele. Ecco, in quei pochi capitoli si perde un po' di mordente, anche se la qualità rimane ben sopra la media.
Inside joke, citazioni colte e profane (si va dalle poesie ai videogiochi), poesia pura e rare ma azzeccate spruzzate d'ironia completano quello che è romanzo eccellente.

Forse non per tutti, ma eccellente.

venerdì 2 dicembre 2011

Le cronache di Wormwood (di J.Burrows e Garth Ennis)



Le cronache di Wormwood

Di Jacen Burrows e Garth Ennis

BD Edizioni

144 pagine (colori), 13 euro








Sinossi

Danny Wormwood è un uomo di successo, produttore dei programmi più cool e controversi della televisione americana. Ama la sua fidanzata, anche se ogni tanto la tradisce con... Giovanna D’arco. Già, perché Wormwood è l’anticristo, il figlio di Satana destinato a scatenare l’apocalisse. Danny ha comunque piani diversi dal suo illustre genitore, non è minimamente interessato alla fine del mondo e preferisce trascorrere il tempo libero in un pub in compagnia del suo coniglio parlante e della reincarnazione di Gesù Cristo, un attivista di colore reso demente da una manganellata della polizia. Tutto normale, fino a quando un accordo tra il papa e il diavolo mette in moto un inesorabile ingranaggio, che costringerà Wormwood a lottare per sfuggire al proprio destino.


Commento


Un Anticristo che non ha voglia di fare il suo dovere e lavora come produttore televisivo.
Gesù reincarnato in un hippie rasta di colore.
Il Padre Eterno trasformato in un vecchio pazzo ammalato di autoerotismo compulsivo.
Un Papa depravato, alcolizzato e pornodipendente.
Un coniglio parlante che si diverte a insultare i fans di Star Wars sui forum dedicati alla nota saga.
Un barista col pene al posto del naso.
Questi sono alcuni degli elementi de Le cronache di Wormwood, ennesima genialata di Garth Ennis, pubblicata in Italia dai tizi della BD.

Incominciamo a dire che non è un fumetto adatto a tutti. Chi ha una sensibilità delicata su argomenti quali la religione, il sesso e la morale dovrebbe evitarlo come la peste. C'è di che rimanere offesi.

Per tutti gli altri, Wormwood sarà una bella cavalcata nel fantastico più irriverente ed esplicito, ma non privo di spunti filosofici e anche toccanti.

Come riportato nella sinossi, l'Anticristo vive tra noi, ma non ha alcuna intenzione di svolgere il compito per cui suo padre – Satana – l'ha messo al mondo. Anzi, a dirla tutta il nostro Danny Wormwood ha stretto amicizia con quello che in teoria dovrebbe essere il suo più acerrimo nemico, Gesù. I due si trovano abitualmente in un bar di New York per bere insieme e per parlare di quanto sia difficile sfuggire ai ruoli imposti a entrambi dai rispettivi padri.

Ma Satana non ha intenzione di lasciare che questa amicizia contro natura rovini i suoi piani per l'Apocalisse. Per assurdo, il diavolo troverà il suo migliore alleato nelle stanze vaticane, dove si è da poco insediato un Papa australiano che non si fa mancare nessun vizio: sesso con le suore, alcolismo, droga, torpiloquio, profanazione delle reliquie, corruzione.

Il cocktail è esplosivo ed Ennis lo miscela alla grande. Se si superano le prime pagine, un po' ostiche a livello di dialoghi, c'è di tutto per lasciarsi andare a un bel trip di cui rimarrà molto, una volta arrivati alla fine. Sia a livello di divertimento che, perché no, di riflessioni. Si parla del caro, vecchio libero arbitrio, e del concetto di bene e male, con tutte le sfumature che stanno nel mezzo. Ma Ennis lo fa senza predicozzi indigesti e banalità assortite.

Contribuisce alla buon riuscita dell'insieme anche la bravura di Jacen Burrows, autore di disegni validissimi. Il meglio di sé lo dà raffigurando le immagini infernali, roba che perfino Dante non avrebbe avuto l'ardire di immaginare. Memorabile la comparsa di Satana su un'enorme trono mobile caricato sulle spalle dei “defunti Re della terra”: Bush, Pinochet, Saddam, Gorbaciov, Khomeini, la Thatcher e via dicendo. Questa singola tavola da sola varrebbe l'acquisto del volume. Ma per fortuna c'è ben altro.

Non fatevelo mancare.

lunedì 28 novembre 2011

L'alba degli zombie (di D.Arona, S.Pascarella e G.Santoro)




L'alba degli zombie

di D.Arona, S.Pascarella, G.Santoro

Gargoyle Books editore

266 pagine, 17 euro








Sinossi

Il biennio 2011-2012 viene salutato come la nuova stagione dei morti viventi.
Che spetti agli zombie il compito di traghettarci verso l’attesa apocalisse del dicembre 2012?
Di certo nessuno se lo augura sul serio, ma chi, meglio dei non-morti di George Romero, puo' aspirare al titolo poco ambito di 'araldi dello sterminio'?
A piu' di quarant’anni dall'uscita deflagrante del film 'La notte dei morti viventi', opera che costituisce il mito di fondazione dello zombie post-industriale, non si placano le passioni e le 'fameliche' aspettative dei fan. Né diminuiscono film, libri e serie Tv.
Una nuova 'alba degli zombie', sperando non sia l'ultima, sta sorgendo.
La presente opera ambisce a connotarsi come summa sull’esalogia romeriana dei living dead, proponendosi come punto di riferimento per appassionati, ricercatori o semplici curiosi: la storia, dal 1968 a oggi, dei film suddetti e delle innumerevoli ricadute della mitologia dello zombie in campo culturale e cinematografico, mettendo a fuoco l’orizzonte sociopolitico del non-morto e delle sue tante rielaborazioni nella fiction. Una paura che continua a materializzarsi nel luogo classico del trauma collettivo: il cinema.
Accanto ai saggi complementari di Danilo Arona, Selene Pascarella e Giuliano Santoro, un’intervista esclusiva a George Romero a cura di Paolo Zelati.

Commento

Ve l'avevo segnalato qualche settimana fa, ora che l'ho letto posso solo confermare le buone impressioni che vi avevo confidato di primo acchito.
Okay, io sono di parte: vivo di pane e zombie, e in più una grande fetta del saggio in questione è dedicata a George Romero, il mio regista preferito, almeno finché non si rimbecillito del tutto. Metteteci anche che Danilo Arona firma un terzo del libro, e capirete che L'alba degli zombie non poteva non piacermi.
Ribadisco, onde evitare fraintendimenti, che si tratta di un saggio (e non di un romanzo) sul cinema dei morti viventi, da papà George in poi. Non mancano i retroscena sulle sei pellicole della famosa dead saga romeriana, comprendenti curiosità e chicche che nemmeno io conoscevo. Interessantissimo, per esempio, lo script alternativo di Day of the dead, che poi non venne mai utilizzato per limiti di budget. O anche il fatto che Night of the living dead rischiò di essere qualcosa di molto diverso, un b-movie che sarebbe passato probabilmente inosservato, se Romero non si fosse inventato la peculiarità dei ritornanti affamati di carne umana.
Gli autori del libro sono onesti nell'ammettere il dislivello qualitativo tra la prima trilogia del regista di Pittsburgh e la seconda, culminata con l'indecente (ma queste sono parole mie) Survival of the dead. Un film che preferirei non aver mai visto, e invece...

Ottimo anche l'approccio filosofico-sociologico della cinematografia zombesca, tracciato con mano esperta da Giuliano Santoro. Si va dall'epoca preromeriana agli sviluppi del ritornante moderno, oramai tanto diverso da quello degli anni '60. Santoro esamina alcune novità introdotte nell'ultimo decennio, come per esempio la capacità dello zombie di apprendere e parlare, oppure alla mass-mediatizzazione dell'apocalisse.
La terza e ultima parte del saggio esamina ancor più da vicino l'evoluzione dell'archetipo-zombie nel post-romerismo. Selene Pascarella cita film e libri che, di mese in mese, stanno trasformando la figura del morto vivente antropofago in qualcosa di più complesso e forse più spaventoso. Non solo, l'autrice traccia un ottimo quadro protoscientifico su una possibile “vera” zombie apocalypse. Lo fa citando la Bibbia della letteratura ritornante, World War Z, ma anche una serie di studi scientifici che dimostrano la plausibilità – teorica ma non del tutto assurda – di una pandemia non dissimile da quella raccontata nei film di Romero.
Personalmente sono ben felice di aver scoperto l'esistenza della ricerca condotta dal biochimico texano Sean Michael Ragan, Etiology of Romero-Fulci disease: The case of prions, che dimostra quanto siano i prioni a essere il più probabile veicolo di diffusione di una pandemia zombesca (PDF scaricabile qui). Il che, lasciatemelo dire, rispecchia perfettamente lo scenario del Survival Blog e di Scene Selezionate della Pandemia Gialla. Solo che lo studio di Ragan io non lo conoscevo affatto, non ai tempi della stesura del romanzo.
Bizzarro no?

Concludendo, L'alba degli zombie è un ottimo e solido saggio, immancabile per gli appassionati di genere e, perché no, ricco di ottimi spunti per nuove storie sugli zombie, o sulle loro molteplici evoluzioni o trasformazioni.

martedì 22 novembre 2011

Giant Monster (di Steve Niles e Nat Jones)




Giant Monster

di Steve Niles e Nat Jones

Magic Press

96 pagine a colori, 9.50 euro

(recensione inedita)







Sinossi

L'anno è il 2013 e il colonnello Don Maggert è il primo astronauta a compiere un viaggio nello spazio da solo, senza equipaggio d'accompagnamento, né ausiliari. Mentre è il procinto di tornare, in diretta con gli schermi della NASA viene assalito da un parassita che lo trasforma in un mostro carnivoro affamato e inarrestabile. L'esercito è incapace di opporsi e l'unica soluzione sembra un sepolto robot nazista della Seconda Guerra mondiale!!!

Commento

Steve Niles è una delle penne che garantiscono sicurezza, quando si parla di graphic novel.  
In questo caso affronta una storia autoconclusiva, che di per sé è una rarità e un merito, lanciandosi col socio Nat Jones in una trama che garantisce puro divertimento, mischiato a suggestioni intergenere, che pescano dalla fantascienza degli anni '50-'60, ai b-movie horror, spennellando il tutto con un po' di dieselpunk e un pizzico di cospirazionismo.

La storia del colonnello Maggert è semplice e per questo funziona: un astronauta in crisi familiare, viene lanciato nello spazio da solo, o meglio, solo coi suoi pensieri. Un parassita alieno penetra nella nave e lo infetta, trasformandolo in una creatura mostruosa e antropofaga.
Una volta precipitato sulla terra inizia a nutrirsi. Ogni volta che mangia cresce di dimensioni, fino a diventare un gigante invincibile, in procinto di distruggere intere città.
Un generale dell'esercito degli USA ha la bella pensata di rivolgersi a un anziano e geniale scienziato, prigioniero degli States fin dal secondo dopoguerra. Si tratta di una sorta di Tony Stark nazista, che nel frattempo ha perfezionato la creazione di un robot a intelligenza artificiale. Progetto a cui stava lavorando nel 1945, da bambino prodigio, e che avrebbe dovuto garantire la vittoria a Hitler.

La trama è pulp come si intuisce da questo breve sunto.
Maggert è il tipico mostro con vaghe reminiscenze della sua vita da umano. Reminiscenze che però si rivolteranno contro tutti i cliché del genere, con gran godimento del lettore.
Interessante la combine tra il genere Kaiju, termine che indica i mostri giganti a la Godzilla, e quello zombesco/mutante. Taggart è infatti un mutante antropofago, solo che le sue dimensioni crescono fino a diventare quelle di un grattacielo!

Ci sono alcune scene che rimangono impresse, come per esempio il ritorno della cosa-Taggart sulla terra, nel bel mezzo dell'oceano, dove si trova impegnato in un'epocale lotta con un nutritissimo branco di squali.

La resa grafica di Jones e Niles è molto buona. Giant Monster è una graphic novel decisamente colorata, sanguigna, con disegni nitidi, chiari, gradevoli. C'è spazio per lo splatter e per il pulp. Non manca una vena ironica, né un finale che, oltre a essere definitivo, soddisferà i lettori poco propensi alle trovate hollywoodiane degli ultimi anni, riassumibili con lo stucchevole motto “in fondo in fondo siamo tutti buoni”.

Una buona lettura che dà quel che promette.

giovedì 17 novembre 2011

La porta di Atlantide (di Giulio Leoni)







 La porta di Atlantide

Giulio Leoni

Mondadori Editore

432 pagine, 19,90 euro

(recensione inedita)



Sinossi


Vanja è bellissima. Alta come una modella, lo sguardo di ghiaccio e i lunghi capelli completamente bianchi... il suo fascino enigmatico spicca nella sala semivuota dove è in corso una conferenza sulla leggendaria isola di Atlantide. Ovvio che la noti uno scrittore di romanzi gialli, tanto sembra fuori posto in quel luogo. Come è insolito il mestiere che si è scelta in Italia: la dama di compagnia. E le sorprese sono appena cominciate: poche ore dopo l'incontro alla conferenza, muore in circostanze sospette l'anziana signora che Vanja assisteva, una donna che è stata un tempo una famosa veggente, e che porta con sé il segreto delle sue visioni. Tra cui forse proprio la chiave che apre la porta dell'isola perduta. Affascinato dalla giovane slava, il protagonista inizia una personale indagine. Ma presto viene travolto da un turbine di indizi e prove che assumono una luce ancor più sinistra in presenza di nuovi omicidi. Una trama in cui nulla sembra avere senso, e in cui compaiono via via fatti e personaggi sempre più strani. Nulla, se non appunto le tracce appena visibili di quella antica terra, Atlantide, e del mistero della sua scomparsa. Perché è da quella remota tragedia che tutto ha avuto origine. Lo crede disperatamente Vanja, custode di un segreto inconfessabile che si è portata dentro dalla nascita. E comincerà a crederlo anche il protagonista, sempre più sconcertato da quello che va scoprendo: Atlantide è davvero esistita, le sue rovine attendono qualcuno che le riporti alla luce con il loro segreto.

Commento


Raramente recensisco materiale pubblicato da Mondadori, casa editrice di cui non condivido il 90% delle strategie editoriali. Faccio volentieri eccezione per i titoli veramente meritevoli, come accade per Giulio Leoni, ottimo autore che mi è piaciuto in quasi tutto il suo materiale che mi è capitato in mano.
La porta di Atlantide è un thriller velato di soprannaturale e con alcune connotazione da spy-story. C'è quindi un'abbondanza di suggestioni e generi che, se amalgamati da uno scrittore meno esperto, andrebbero a comporre un improbabile pasticcio. Per nostra fortuna Leoni è invece una penna esperta e piacevole da leggere, al di là della storia che di volta in volta decide di narrare.
E questa volta si tratta di una storia che senz'altro ha tutto il potenziale per piacere al sottoscritto: civiltà perdute, fantarcheologia, nazismo esoterico, donne misteriose... Il tutto senza quasi mai muoversi dal contesto urbano di una Roma livida e in cui s'intrecciano le vicende dei due protagonisti principali.
Atlantide, il leggendario continente fantasma, fa da sfondo a un'indagine nata in modo casuale, in cui uno scrittore (alter-ego di Leoni?) si trova coinvolto in una brutta faccenda di omicidi correlati a una medium e spionaggio industriale di altissimo livello.
L'autore è ottimo nel tracciare una trama portante, in cui si sviluppano diverse storie corollarie, molte delle quali hanno solo in parte a che fare con la ricerca di Atlantide, ma che sono perfette nel disegnare un quadro d'insieme ricco di spunti e di rigorosità logica. Come al solito Leoni si dimostra bravissimo nell'inserire riferimenti storici precisi, che vanno dal processo a Galileo ad alcune ricerche occultistiche delle SS prima e durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il pregio del romanzo, che però per molti sarà anche un limite, è quello di non spingersi mai con entrambe i piedi oltre a quella sottile linea che separa la realtà e il fantastico. O meglio: il lettore viene indotto a credere che certi elementi narrati trascendano le spiegazioni razionali, salvo che poi quasi tutto sembra man mano rientrare, lasciando la storia più sui binari del thriller che non altrove.
Da qualunque parte lo si guardi La porte di Atlantide è comunque un libro solido, piacevole e scritto come Dio comanda.
Visto lo stile brioso e ironico di Leoni azzardo col dire che dovrebbe piacere anche a chi non ama il genere (un po' come succede per i romanzi di Tullio Avoledo).
Promosso senza particolari riserve.

lunedì 14 novembre 2011

La materia oscura (di Michelle Paver)



La materia oscura

di Michelle Paver

Giano Editore

288 pagine, 16.50 euro

(recensione del 20/07/2011)



Sinossi


Gennaio 1937. Su Londra soffiano già i venti della guerra che scoppierà meno di tre anni dopo. Jack Miller ha 28 anni e una laurea in fisica, ma è oppresso dalla mancanza di denaro, vittima di un carattere inquieto e solitario e deciso a cambiare completamente la sua vita. Così, quando gli viene offerta la possibilità di lavorare come operatore radio in una spedizione nell'Artico, accetta senza indugi.

La nave salpa dalla Norvegia con destinazione Gruhuken, un'isola disabitata nell'arcipelago delle Svalbard: quattro uomini e 8 cani husky vanno incontro entusiasti al Mare di Barents sotto la luce del sole di mezzanotte.

Jack non socializza con i compagni, degli snob inglesi spinti soltanto dalle chimere dell'avventura; e in più detesta i cani. Ma non ha nemmeno il tempo per simili riflessioni, poiché il viaggio si rivela fin da subito sovrastato da cattivi auspici: uno dei partecipanti si rompe una gamba cadendo sulla nave ed è costretto a lasciare la spedizione e ritornare in patria. E quando finalmente la spedizione raggiunge la baia dove gli uomini dovranno accamparsi per un intero anno, i due compagni rimasti vengono colpiti da malattie e sono costretti ad abbandonare anch'essi l'isola e tornare alla civiltà. Rimasto solo, Jack potrebbe decidere di partire anche lui, ma sceglie di rimanere, per non vanificare gli scopi scientifici della spedizione.

Solo nella distesa artica, al buio dell'interminabile notte polare, durante la quale nessuno può lasciare o raggiungere l'arcipelago, Jack trascorre i primi giorni determinato a portare a termine quello per cui è partito.

All'inizio sono solo vaghe sensazioni, fruscii che arrivano in maniera quasi impercettibile all'udito, macchie che balenano davanti agli occhi. Poi non appena il buio si fa più fitto, i fruscii diventano voci distinte e le macchie si mutano in ombre dai contorni netti. Allucinazioni? Brutti scherzi di una prolungata solitudine? Fantasmi prodotti dalla mente? Oppure l'isola è sotto la minaccia di una Materia Oscura? Un'Entità terribile e vendicativa?


Commento


Ottimo.
Questo romanzo è ottimo.

La materia oscura, pescato a caso e opera di un'autrice a me sconosciuta, si è rivelata una delle migliori letture degli ultimi mesi. Un ritorno alle storie di avventura e di orrore, alla atmosfere delle ghost story dei bei tempi, aggiornate però a un linguaggio scorrevole, moderno e non pomposo (per quanto affascinante, si capisce) dei grandi vecchi, Poe e Lovecraft in primis.

Michelle Paver si affida a un genere consolidato, rafforzando quella che è una mia convinzione da lungo tempo: l'originalità non è un elemento essenziale per produrre buona narrativa. Le sono preferibili doti quali lo stile, la padronanza della lingua, lo sviluppo dei personaggi e dell'intreccio.

Di certo La materia oscura parte da due privilegiati punti fermi: le atmosfere retrò (siamo nel 1937) e l'ambientazione artica, che rieccheggia sempre di capolavori quali The Thing e At the mountains of madness. Giusto per non sbagliare l'autrice ci infila anche qualche vago richiamo a Il richiamo della foresta e il gioco è fatto.

Il romanzo parte dai presupposti tipici delle storie d'avventura old style, salvo poi ripiegare sull'horror psicologico, giocando sul sottile filo tra pazzia umana, dovuta alla solitudine e a una mente complessa e al contempo fragile (quella del protagonista, Jack Miller) e svolta soprannaturale della storia. Alla fine l'autrice ci dà tutti gli elementi per optare per questa seconda spiegazione, anche se in fondo in fondo rimane sempre qualche perplessità riguardo alla reale natura dell'essere che infesta l'ex stazione mineraria di Gruhuken.


Tutto ciò che sta nel mezzo è godibilissimo. La Paver è abile nel descrivere il senso di solitudine, unito a quello di inquietante bellezza, che un luogo remoto e “alieno” come l'Artico evocare nella mente di qualsiasi uomo. Poi, quando inizia il sottile e perfetto cambio di registro, dall'avventuroso all'orrorifico, l'autrice riesce a trasformare ogni ombra nel sospetto di una presenza spettrale, ogni rumore in un brivido, ogni piccolo incidente nel sospetto di qualcosa che si muove nell'oscurità.

Ovviamente il meglio del meglio inizia quando Jack rimane isolato per settimane nella stazione di Gruhuken. Il nostro “eroe” è combattuto tra la voglia di filarsela via da un posto che sembra sempre meno ospitale e tra la volontà di dimostrare al suo nuovo amico Gus, ricoverato nel più vicino presidio medico a causa di un'appendicite, di meritarsi la sua stima. È proprio il rapporto strano, in parte morboso, che Jack nutre per Gus a spingerlo a sfidare i misteri di Gruhuken e gli spettri che (probabilmente) abitano quel luogo.

Ottima anche la costruzione psicologica del protagonista che, narrando in forma diaristica, non ci risparmia nulla della sua attrazione crescente per Gus e quindi della sua antipatia per il terzo membro della spedizione, che pure non ha né colpe né meriti particolari nella vicenda, se non quello di fungere appunto da “incomodo”.

Ma le elucubrazioni umane e sentimentali di Jack Miller vengono presto annichilite quando entra in gioco la Materia Oscura che abita quel remoto angolo dell'Artico. Da lì in poi è solo terrore, giù giù fino al tragico e malinconico finale.

lunedì 7 novembre 2011

Impaler (di Nick Postic e William Harms)



Impaler

Di Nick Postic e William Harms

Image publisher

Volume Uno a 11.99 dollari (In lingua originale); 160 pagine a colori

(recensione inedita)



Sinossi


Una delle peggiori tempeste di neve di sempre si sta per abbattere su New York. Ma essa si rivelerà essere il minore dei problemi per gli abitanti della Grande Mela. Da un misterioso cargo mercantile arrivato in città sono infatti pronti a scatenarsi della creature diaboliche che escono dai peggiori incubi del folklore: i vampiri. Il loro numero è destinato a crescere in modo esponenziale, notte dopo notte, finché New York sarà sottoposta a un vero e proprio assedio. L'unica speranza dei cittadini destinati a fungere da armenti sembra essere riposta in un elemento dalla fama sinistra, che sbuca dal passato remoto dell'Europa medioevale: Vlad l'Impalatore...


Commento


Da tempo porto avanti una campagna silenziosa atta a rivalutare la dignità vampiresca compromessa dalla moda emo dilagante negli ultimi anni.

Film, libri e fumetti che raccontano storie di succhiasangue “old style”, cattivi e incazzati, saranno sempre bene accetti su queste pagine e non mi stancherò di parlarne.

Impaler rientra in questa categoria. Premetto che si tratta di un fumetto in lingua inglese, non ancora arrivato in Italia. Se l'ho scoperto e letto, è grazie alla già citata applicazione Comixology per Ipad. Tuttavia il volume 1 di Impaler (attualmente ne sono stati pubblicati due) è disponibile anche in versione cartacea soli dodici dollari. Trattasi di ben 160 pagine fitte fitte, un bel librone.

Se avete letto la sinossi, potete intuire che non ci troviamo davanti a una storia rivoluzionaria o di chissà quale genio creativo finora inespresso. L'idea dei vampiri che invadono una moderna città occidentale - New York poi! - è perfino abusata. Ma resta pur sempre molto suggestiva. Del resto il genere horror “d'assedio” è uno dei più affascinanti, e i vampiri sono sempre mostri che hanno la loro presa su una grande fretta di pubblico.

Perciò, sì, l'idea di base di Impaler è questa: la Grande Mela viene assalita dai nosferatu, che fanno una strage senza precedenti, aiutati tra l'altro dalla tempesta di neve che isola la città. Un drappello di sopravvissuti tenterà di combatterli e, in loro inaspettato soccorso arriverà nientemeno che Vlad l'Impalatore, deciso a fare strage dei suoi simili per motivi che comprenderemo man mano.

Okay questo è un elemento originale, ammettetelo.

Anche i vampiri inventati dal duo Postic-Harms sono originali. Si tratta di creature solo in parte corporee, capaci di passare da uno stato fumoso a quello materiale, e di farlo a loro piacimento. Tra l'altro hanno una mente ad alveare: ciò che uno di loro sa, viene trasmesso anche al resto del branco. La loro sete è inestinguibile e se ne fregano bellamente di croci, paletti e acqua santa. La luce solare li può distruggere, e così anche un colpo alla testa, quando sono nella loro forma solida. Nella forma di ombra invece possono essere feriti solo da un'arma forgiata nel ferro non trattato (vecchio rimedio tramandato dalla stregoneria per uccidere gli esseri fatati). E, guardacaso, la spada di Vlad è proprio in cold iron.

Impaler è una serie che funziona: non troppo lunga, piena di suspance, di mistero e di combattimenti, disegnata come un noir. Mettiamoci anche un finale, quello del volume 1, davvero bello e drammatico, ed ecco che avete una graphic novel coi controcosi.

Che, lo ripeto, in Italia non è ancora arrivata. Dal 2006 eh, mica da ieri.

giovedì 3 novembre 2011

2012 - L'ultimo grido del Mondo (di Matteo Poropat)




2012 – L'ultimo grido del Mondo

di Matteo Poropat

Ebook autoprodotto

(recensione inedita)







Sinossi

Per Sebastian Shaw, presentatore televisivo ormai di fama mondiale, il futuro non potrebbe essere più buio. Un’accusa per molestie sessuali. Orribili incubi che lo tormentano. Quel senso di predestinazione, che sembra deciso ad accompagnarlo verso l’anno a venire, il 2012, e a una nuova puntata della sua trasmissione. Dove la sua vita, come quella del mondo intero, potrebbe concludersi con un ultimo, terribile grido.

Commento

L'ultima novel di Matteo Poropat, vera e propria autorità per quel che riguarda l'impaginazione di ebook e l'evoluzione dell'editoria digitale italiana, è una lieta sorpresa nel campo delle autoproduzioni nostrane.
2012 – L'ultimo grido del Mondo, è un racconto apocalittico sulla falsariga di un lovecraftismo moderno, calato cioè (come il titolo fa intendendere) in un contesto contemporaneo, senza barocchismi o scimmiottamenti dello stile del comunque amato HPL.
Il protagonista della novel, Sebastian Shaw, è un anchorman di successo, una vera e propria celebrità catodica. In un 2012 che sembra inizialmente lontano dalle stravanti apocalissi predette dai Maya Shaw si trova incastrato in un'accusa che potrebbe rovinargli la carriera. L'unico modo per farla franca è accondiscendere alla richiesta dei tre direttori esecutivi della sua emittente, che gli chiedono di dar spazio a un inquietante telepredicatore appartenente a una misconosciuta Chiesa...

2012 è dunque un racconto catastrofico che narra i fatti – o più precisamente la cospirazione – che portano alla suddetta catastrofe. Bella l'idea della fine del mondo gestita da una potente emittente televisiva e non dai soliti militari, servizi segreti deviati o terroristi fanatici. I tre membri del CDA che ordiscono il piano per incastrare Shaw sono dei personaggi piuttosto riusciti, giusto punto d'equilibrio tra i classici cultisti a la Lovecraft e i più classici e biechi dirigenti televisivi (almeno, per come li immaginiamo noi semplici mortali).
Ottimi i siparietti di contorno alla narrazione principale, in cui seguiamo alcuni telespettatori che, loro malgrado, verranno condizionati dall'ultima trasmissione condotta da Sebastian Shaw. Forse avrebbero meritato più spazio, visto che c'erano tutti i presupposti per farlo.

Il finale, su cui non spoilererò per non rovinarvi la sorpresa, è molto azzeccato e originale al punto giusto, ossia senza voler strafare e al contempo senza scadere nel dejà vu più banale.

In sostanza 2012 – L'ultimo grido del mondo è una novel godibile e ben scritta, che non persegue nessun obiettivo se non quello di intrattenere il lettore, riuscendoci. Pregevole, a mio parere, il citazionismo e le atmosfere lovecraftiane, senza però scadere nella tentazione di clonare per l'ennesima volta frasi ed espressioni del Solitario di Providence.
Una cosa su cui dissento è la scelta del titolo: quel 2012 era francamente evitabile. Tuttavia, si sa, farà molto gola ai motori di ricerca ;-)

martedì 1 novembre 2011

I tre giorni all'inferno di Enrico Bonetti, cronista padano (di Valter Binaghi)


I tre giorni all'inferno di Enrico Bonetti, cronista padano

di Valter Binaghi

Editore: Sironi

Pag. 416, Euro 17.00

(Recensione del 17 febbraio 2008, riveduta e corretta)


Sinossi


«Ricorda quello che diceva Baudelaire, che aveva una certa esperienza in materia: il capolavoro di Satana è convincerci che non esiste.»

Cosa accade quando le trasgressioni di un gruppo di giovani satanisti si saldano – tra omicidi, rapimenti e traffico d’organi – alle trame di misteriosi circoli esoterici e di laboratori di ricerca coperti da segreto militare?

Enrico Bonetti, cronista di nera in un giornale di provincia, si trova suo malgrado coinvolto in una catena di delitti terribili che aprono scenari insospettabili. Con l’aiuto di un maresciallo dei carabinieri e di un frate davvero fuori dal comune (esorcista e pirata informatico) proverà a combattere il disegno criminale. Sorretto da una trama tanto complessa quanto ben congegnata e sospinto da una potente forza narrativa, questo romanzo inquietante e politicamente scorretto conduce il lettore nel cuore dello scontro eterno tra Bene e Male.


Commento


Valter Binaghi è un autore che seguo fin dai primi libri, colpevolmente passati un po' in sordita ma già molto interessanti. Con piena fiducia mi sono quindi avvicinato a questo romanzo dal titolo bizzarro e dalla mole corposa e invitante.


Così scrivevo tre anni fa. Da allora mi è capitato di rimettere mano a I tre giorni all'inferno e di averlo trovato evocativo quanto e più di allora.


Non posso far altro che confermare che ci troviamo davanti a uno dei migliori romanzi italiani degli ultimi anni, sorprendentemente in grado di soddisfare più generi di lettori. Non è infatti semplice classificare questo libro. In parte è un thriller, in parte siamo davanti a una sorta di saggio di fantascienza sociale. Spesso sembra di avere in mano uno dei migliori romanzi di Avoledo (e in questo libro a volte Binaghi rischia anche di superarlo...). Non mancano spruzzate di ironia e passaggi che occhieggiano a tematiche classiche dell'horror di qualità.


Non è però un gran calderone, bensì un armonioso lavoro in cui quasi tutto s'incastra alla perfezione, compresa una meticolosa opera di documentazione che è evidente in molti passaggi del libro.

Una delle qualità migliori di Binaghi è quella di far riflettere il lettore utilizzando una letteratura di genere, d'intrattenimento. In questo romanzo, per esempio, sono molto evidenti le "accuse" contro un sistema (quello moderno), in cui a farla franca sono i prevaricatori, i potenti, coloro che possono compiere piccoli/grandi abusi quotidiani sapendo di cavarsela sempre grazie a denaro e influenza politico-economica.

Ne I tre giorni all'inferno l'indagine sul marciume di questo Sistema non parte però da grandi fatti di cronaca internazionale, come avviene invece per molti thrilleristi americani, bensì da piccoli avvenimenti di cronaca locale. Da qui il protagonista, un umanissimo (nel bene e nel male) Enrico Bonetti, riesce a intravedere pian piano sempre più in profondità l'elaboratezza di un Male che tutto permea e che si ammanta di esoterismo solo per nascondere intrallazzi e giochi di potere molto più terreni e concreti.


Binaghi prende il lettore per i capelli e lo costringe a cacciare il naso nel marciume che ci circonda, e che va dalle piccole schifezze combinate dall'assessore locale, passando per una setta di metallari che "gioca" al satanismo (vi ricorda qualcosa?) a bande criminali che sfruttano la prostituzione, fino ad arrivare a chi pianifica un futuro da incubo, giocando a "fare Dio", con ricerche scientifiche a cavallo tra genialità e abominio.

L'autore è dunque molto concreto, doloroso nel volerci mostrare quanto a fondo il nostro mondo si è lasciato corrompere e tradire. Impossibile non notare gli scossoni che Binaghi dà a ciascuno di noi, sottolineando più volte come sia stato facile da parte del sistema rincoglionirci attraverso la televisione di bassa lega (del resto il mefistofelico dottor Goebbels fu il primo a capire la potenza di questo mezzo), ma anche con internet, traboccante di insidie e schifezze.


I personaggi di Binaghi sono altrettanto credibili, ben caratterizzati e mai stereotipati. Questo, in particolare, è un pregio di cui pochissimi scrittori possono vantarsi. Partendo da Enrico Bonetti, cronista curioso e intelligente, ma non certo privo di difetti e contraddizioni, passando per Frate Remigio, personaggio di molta luce ma anche con qualche ombra, fino ad arrivare a Ljanka, prostituta ma al contempo rappresentante quasi "virginale" di quel Bene innocente e minacciato che Binaghi tratteggia con mano poeticamente noir.

Chi sta invece dalla parte del Male, spesso non si accorge nemmeno dell'ingranaggio oscuro di cui è complice. Ed è proprio qui la chiave della sempre più probabile vittoria di quest'ultimo sulla sua controparte luminosa: la banalità, l'irresponsabilità e l'egoismo, tutte compenenti essenziali per far funzionare un Sistema basato sullo sfruttamento di innocenti, indifesi e degli inconsapevoli.

Un romanzo godibilissimo, ma che non si può leggere a cuor leggero, facendo finta di niente e accontentandoci nel dire che comunque "è tutta fiction". Perchè, questa volta, probabilmente non lo è.

lunedì 24 ottobre 2011

Graveyard of Empires (di Mark Sable e Paul Azaceta)



Graveyard of Empires

di Mark Stable e Paul Azaceta

Image Comics

4 numeri da 2.99 dollari ciascuno (in lingua originale)

(recensione inedita)



Sinossi


Afghanistan, oggi. I Marines affrontano l'infinita minaccia delle ritorsione talebane in risposta all'occupazione del territorio da parte delle truppe NATO. Ma le cose posso andare anche peggio e in maniera del tutto inaspettata. Specialmente se in tutto il paese i morti tornano dalle tombe per divorare i vivi.

I quattro numeri di Graveyard of Empires – lugubre soprannome con cui viene spesso chiamato l'Afghanistan – seguono le sorti di una compagnia di Marines assediata tanto dai ritornati quanto minacciata dai guerriglieri talebani del vicino villaggio.


Commento


Volete ancora zombie? Zombie avrete.

Questa graphic novel è stata definita un incrocio tra Dawn of the Dead e Hurt Locker. Slogan azzardato ma non poi così lontano dalla realtà. Secondo gli intenti degli autori Graveyard of Empires (d'ora in poi GoE) dovrebbe sbilanciarsi più verso il fumetto di guerra che non verso l'horror. Il primo numero non delude senz'altro questo intento, introducendo la vita quotidiana di una guarnigione statunitense presente in territorio afghano. Il quadro tracciato è piuttosto realistico, anche nel descrivere dei soldati non propriamente disciplinati, per non dire prossimi a una crisi collettiva di nervi.

Per contro anche i talebani sono tratteggiati per quello che, verosimilmente parlando, sono: guerriglieri spietati, misogini, che sostengono la loro resistenza partigiana grazie al traffico di stupefacenti.

Dal secondo episodio in poi l'epidemia zombesca esplode in tutto il paese, a quanto pare per colpa di un diserbante sperimentale testato dall'aeronautica militare della NATO. I morti risorgono – e in Afghanistan se c'è qualcosa che non manca sono i morti – e iniziano a cibarsi dei vivi, a qualunque bandiera essi appartengano.

I Marines della guarnigione in questione si trovano isolati, assediati e messi in condizione di dover collaborare con i talebani per poter sopravvivere a una minaccia più orrenda e del tutto inaspettata. Ma i guerriglieri collaboreranno con gli americani oppure aprofitteranno della situazione per uccidere gli invasori?

GoE è caratterizzato da una cura certosina per l'aspetto “bullonaro” e militaresco. Quando la situazione inizia a farsi bollente i due autori (molto valido Paul Azaceta ai disegni) mettono anche in piedi un suggestivo “tabellone” che di numero in numero mostra lo status dei Marines e dei talebani in gioco, variando da sano a ferito, morto oppure infetto.

C'è un messaggio collaterale piuttosto esplicito che serpeggia in GoE. Se quando i morti risorgono si continua a sparare si va incontro a una guerra infinita. Lo insegna anche Romero. Al contempo, se in una guerra d'occupazione si seguita ad ammazzare gli insorti il rischio è quello di farne nascere altri dieci.

Ma, al di là di questo, la graphic novel è soprattutto piacevole, seppur lineare, e ben progettata. Essendo composta da soltanto quattro numeri si ha poi la possibilità di leggere una storia autoconclusiva senza dover aspettare le solite millemila uscite mensili.

lunedì 17 ottobre 2011

Valley of the dead - The truth behind Dante's Inferno (di Kim Paffenroth)



Valley of the dead (The truth behind Dante's Inferno)

di Kim Paffenroth

Permuted Press (in lingua inglese)

Disponibile in formato ebook (4.99 dollari) o paperback (11.95 dollari)

(Recensione del 29 aprile 2011)


Da un po' di tempo a questa parte la narrativa di genere, specialmente quella horror, vede il proliferare di romanzi mash-up, che mischiano elementi variegati e bizzarri, spesso rivisitando noti classici del passato in chiave fantastica. Grazie a questa moda assistiamo a un Abramo Lincoln in versione ammazzavampiri, a Orgoglio e Pregiudizio zombie, ai Promessi Morsi (ossia i Promessi Sposi coi canini da nosferatu) e a una miriade di titoli noti e meno noti di questo tipo.

Spesso e volentieri si tratta di opere furbette, che strizzano l'occhio al mercato e sfruttano appieno l'hype creato da queste bizzarri ibridi letterari. Comunque sia non me la sento di bocciare il fenomeno in questione, che quantomeno rappresenta una variante più ricca di sense of wonder rispetto ai famosi sottogeneri con cui continuano invece ad ammorbarci in Italia.

Di Kim Paffenroth ho letto un solo romanzo, il primo della sua serie Dying to Live, saga zombesca con pretese filosofiche. La sua scrittura mi è sembrata molto pulita, non trascendentale, ma lontana dalla banalità in cui può facilmente scadere una tipica trama “romeriana”.

È con non poca curiosità che mi sono quindi approcciato a questo suo romanzo, non facente parte della sopracitata saga, bensì ricundicibile alla narrativa mash-up di cui vi ho accennato a inizio articolo.

Valley of the dead (The truth behind Dante's Inferno) è un'opera curiosa, molto particolare e piuttosto interessante. Innanzitutto facciamo un distinguo: a differenza di Orgoglio e Pregiudizio zombie, Valley of the dead non è una storia riscritta inserendo elementi horror, bensì un romanzo in tutto e del tutto originale, che ha come protagonista un personaggio realmente esistito (Dante Alighieri), e la sua famosa Commedia.

Il presupposto è semplice e al contempo geniale: quale terribile esperienza può aver portato il sommo poeta a descrivere gli orrori narrati nel suo Inferno? Semplice: Dante ha assistito in prima persona a un'epidemia zombesca, repressa dalle autorità dell'epoca con tale violenza da lasciare una traccia indelebile nella memoria dei sopravvissuti.

Kim Paffenroth è un docente di storia delle religioni, e qui sfrutta tutta la sua cultura per ricostruire le probabili “vere” reazioni della gente di quel tempo di fronte a una pestilenza di non-morte. Il risultato è un romanzo cupo come i quadri di Bosch e Doré, in cui i vivi fanno spesso una figura ben peggiore dei morti viventi. La crudeltà che i sani riservano agli appestati è infatti di gran lunga più malsana rispetto alla minaccia degli zombie, che attaccano gli umani spinti solo dall'istinto animalesco.

L'autore scrive in un linguaggio più ricercato e classico rispetto ai suoi romanzi precedenti. Particolare attenzione è prestata alle descrizioni e ai dettagli. Anche le ambientazioni degli avvenimenti narrati sono tratteggiati con rara abilità, dando la progressiva sensazione di precipitare in un Ade del tutto tangibile e terreno.

Il risultato finale è eccellente: un horror filosofico e al contempo spaventoso, in cui aleggia un'atmosfera “infernale” di condanna sia per i sopravvissuti che per gli appestati.

Sicuramente consigliato.

lunedì 10 ottobre 2011

Angelology (di Danielle Trussoni)



Angelology

di Danielle Trussoni

Editrice Nord

504 pagine, 18.60 euro

(Recensione del 15 giugno 2011)



Sinossi


Evangeline ha soltanto sette anni il giorno in cui il padre la affida alle suore del Convento di Saint Rose, vicino a New York, lasciandole come unico ricordo u ciondolo a forma di lira. Da allora il convento è stato la sua casa, il luogo dove è cresciuta, dove ha preso i voti, e dove ha fato una scoperta sconvolgente: una lettera del 1944, spedita dall’ereditiera Abigail Rockefeller alla Madre Superiora, in cui viene citata una misteriosa spedizione nella Gola del Diavolo, in Bulgaria, e il ritrovamento di un cadavere perfettamente conservato. Il cadavere di un Angelo. Per Evangeline, quella lettera è il primo tassello di una storia che affonda le sue radici nella notte dei tempi: la storia degli Angeli che hanno tradito Dio e del Male che è sceso sulla Terra con un battito d’ali; la storia dei Nefilim, e creature generate dall’unione tra gli Angeli ribelli e i mortali; la storia degli Angelologi, un gruppo di studiosi e religiosi che, da generazione, si tramandano il segreto dell’esistenza dei Nefilim e combattono contro di loro una guerra secolare. E, soprattutto, la storia di quattro strumenti di origine divina e dai poteri straordinari, quattro strumenti andati perduti c eh, adesso, Evangeline ha i compito di recuperare, prima che lo facciano i Nefilim. Perché la storia degli Angelologi è anche la sua storia, e la loro missione è la sua missione. Una missione che riscriverà il destino di Evangeline e, forse, dell’umanità intera.


Commento


Dicono che la seconda metà del 2011 sarà la stagione degli angeli. Dicono anche che rimpiazzeranno i vampiri alla melassa e i mezzi-demoni con gli occhi a cuoricino. In realtà questa stagione mi sembra già iniziata. Basta guardare i ripiani dei megastore, dove i succhiasangue innamorati se la giocano con gli angeli infiocchettati.

Non mi stancherò mai di sottolineare quanto provo ribrezzo per questi filoni narrativi. Non per un titolo in particolare, bensì per la caterva di letame prodotto a ritmi industriali solo per sfruttare un trend di mercato. Ok, gli editori (anche quelli dotati di un'elementare intelligenza) non sono enti culturali: devono fare soldi. Il punto è che li stanno facendo con la stessa mentalità delle peggiori catene di fast food.

Detto ciò, Angelology non fa parte di questa cloaca letteraria per lettori diversamente dotati di cervello. Ovviamente in Italia sarà difficile far filtrare questa non sottile differenza, ma io ci provo.

Angelology è un discreto romanzo. Ottimo nella prima parte, mediocre sul finale. In media risulta quindi godibile, dotato di un discreto potenziale, purtroppo buttato alle ortiche sul più bello, quando la Trussoni opta per una “resa dei conti” nel più scontato finale hollywoodiano.

Quel che l'autrice riesce a fare molto bene è creare una realtà molto simile alla nostra attuale (praticamente identica), ma in cui c'è una disciplina scientifica in più, l'angeologia, che è più o meno riconosciuta e accettata in tutto il mondo. Dando per scontato che gli Angeli esistono, da qualche parte lassù nei sette paradisi, ci sono dunque ricercatori e accademici che da secoli cercano di studiarne le caratteristiche, basandosi più che altro su testi antichi e su rarissimi indizi concreti del tempo in cui alcune di queste creature superiori calcavano la nostra terra. I ricercatori sono in parte legati a una branca della Chiesa mal tollerata dal Vaticano, e in parte si tratta di laici. L'angeologia è una disciplina che mischia archeologia, storia, teologia, ma anche materie inventate dall'autrice, è decisamente accattivanti: studio della musica celeste, invocazione angelica, biologia angelica, storia dei Nephilim etc etc.

Proprio i Nephilim sono i villains del romanzo. Creature mezzosangue nate quando alcuni angeli ribelli – ma non demoniaci – copularono con alcune tribù pre-diluviane, i Nephilim da secoli cercano di manipolare la storia umana, spesso riuscendoci. Vivono un'esistenza parallela, fatta di imperi economici tramandati di padre in figlio. In passato molti di loro erano infiltrati nelle potenti corti europee, per ultimi in quelle dei Tudor e degli Asburgo. I Nephilim sono malvagi secondo la nostra concezione della morale. In realtà essi badano in modo pratico e spiccio al benessere della loro stirpe, relegando noi “inferiori” al rango di una sottorazza da sfruttare e comandare.

Basterebbero giù questi elementi per imbandire una buona storia, ma la Trussoni ne mette in gioco altri.

Il primo riguarda i Vigilanti, gli angeli ribelli che copularono con gli umani poco prima del Diluvio Universale, creando la razza dei Nephilim. Così come gli angeli di Lucifero sono stati chiusi all'Inferno per la loro ribellione, i Vigilanti sono stati imprigionati in una voragine terrena impervia e (quasi) impossibile da trovare. Essendo immortali, la punizione da scontare per la loro trasgressione è la reclusione eterna. Ma gli angelologi protagonisti del romanzo sono finalmente in grado di individuare la loro prigione, e desiderano vedere di persona i Vigilanti.

Il secondo elemento è forse quello che più stona, e si tratta della Lira di Orfeo (originariamente appartenuta all'arcangelo Gabriele), un artefatto di immensa potenza, in grado di cambiare l'essenza stessa del Creato, se suonato secondo certi schemi musicali.

Non starò a dirvi come questa moltitudine di fattori incidono nel quadro generale. Vi basti sapere che l'insieme è piuttosto buono, il piatto abbondante, lo scenario ben tratteggiato e ricco di quell'infodump positivo di cui io vado matto (alla faccia dei talebani dei manuali di scrittura e bla, bla bla).

La Trussoni scrive bene, con delicatezza e in modo corposo, pieno. Leggendo Angelology si ha la piacevole sensazione di avere a che fare con un progetto studiato a fondo, pieno di quei dettagli che rendono un romanzo godibile anche al di là dei momenti di down della trama. Ed è proprio qui, nella trama, che l'autrice perde colpi. Non sempre, non in modo eclatante, ma li perde. Come già accennato è soprattutto sul finale che il libro non si dimostra all'altezza di quanto costruito nelle 400 pagine precedenti.

A ogni modo Angelology è un romanzo assolutamente superiore alla media del sottogenere. Anzi, azzardo nel dire che non può essere in alcun modo paragonato a certa narrativa-spazzatura fatta di romanticherie da libercolo rosa da edicola.

Se amata i thriller esoterici, la fantarcheologia e l'urban fantasy dovrebbe piacervi.

lunedì 3 ottobre 2011

Persuasori di morte (di Roberta Borsani)



Persuasori di morte

di Roberta Borsani

OGE editore

208 pagine, 15 euro




Sinossi


Dalla palude nella sonnolenta provincia piemontese riemerge il cadavere di una ragazza uccisa con un colpo d'arma da fuoco. Si tratta di Fiammetta Uslenghi, un'anima solitaria e con qualche problema depressivo, che viveva un ambiguo rapporto con un giovane e discusso prete “di strada”, Don Gabrio, e con la sorella di quest'ultimo, Miriam, donna dal passato tormentato.

Tutti gli indizi portano il commissario Realis, incaricato del caso, a sospettare proprio del prete. Solo che gli indizi sono fin troppi e troppo palesi. Realis, uomo non abituato a fermarsi alle apparenze, decide di allargare il campo delle indagini e scopre una realtà tanto assurda quanto inquietante.

Nella placida cittadina in cui vive e lavora esiste una sorta di “circolo esoterico”, in cui persone potenti e perverse organizzano dei complicati giochi il cui fine ultimo è quello di indurre il malcapitato al suicidio per disperazione. È così che emerge una realtà parallela, che getta nuova luce non solo sulla morte di Fiammetta Uslenghi, ma anche su alcuni fatti di cronaca del recente passato, che a questo punto vanno visti da ben altra prospettiva.


Commento


È il secondo libro di Roberta Borsani che mi capita di leggere. Posso confermare le buone impressioni e segnalare l'autrice come una delle poche voci femminili italiane – non voletemente, eh – in grado di entrare con entrambi i piedi nelle mie preferenze.

Persuasori di morte non è un romanzo perfetto, anzi, gli si possono imputare diversi difetti strutturali, come per esempio un finale un po' troppo breve, se rapportato con la costruzione dell'indagine affrontata nel resto del libro. Tuttavia è una storia che affascina, sia per quel che concerne la trama, che per come la Borsani l'affronta. Svincolandosi dai soliti, legnosi gialli che prevedono un commissario, un colpevole misterioso e un'elaborata indagine, l'autrice mette le carte in tavola piuttosto alla svelta, senza nemmeno nascondere troppo le identità mascherate dei membri della setta dei Persuasori di morte. Il resto viene giocato sui sentimenti umani e sul confronto psicologico tra un uomo giusto, Don Gabrio, messo alle strette per motivi più che futili, ossia come preda di un gioco perverso.

L'autrice utilizza quello che sembrerebbe un cliché – la camarilla di potenti ricchi e annoiati, con membri influenti nella società civile “che conta” – ma le differenze balzano all'occhio ben presto. Buona parte dei Persuasori di morte sono solo borghesi amorali, annoiati e nemmeno poi tanto intelligenti. Commettono errori grossolani e, almeno per quel che concerne un paio di loro, non sono nemmeno propriamente malvagi, quanto piuttosto viziosi e vuoti. Oppure, come accade per l'Abate, la loro psicologia deviata è il risultato di un qualche trauma subito in precedenza, qualcosa che gli ha tolto la fede, l'amore per il prossimo e la fiducia nella giustizia.

Solo il capo della setta, il Principe, svetta come geniale villain dall'intelligenza sublime. Solo di lui non si conosce l'identità (e la puzza di zolfo in un paio di occasioni è piuttosto forte). Solo lui interpreta il gioco come un enigma filosofico al di là dei concetti mortali di bene e male, di giusto e ingiusto.

Il protagonista, Realis, è un commissario con tanti, troppi cliché di visto, rivisto e riproposto. Malinconico, riflessivo, acuto, con collaboratori più buffi che non efficienti, guardato con un certo fastidio per i metodi poco burocratici. Non è antipatico o mal tratteggiato, anzi, è molto umano e con una buona costruzione psicologica alle spalle. Ma è troppo stereotipato. A questo punto funziona assai meglio Don Gabrio, o ancor più il misterioso e mellifluo Principe. Ma i migliori personaggi del romanzo sono i comprimari della setta dei Persuasori, coi loro difetti e con dei profili per nulla scontati o banali.

In sostanza Persuasori di morte è un buon romanzo. Poteva essere ottimo con un po' di “polpa” in più nei punti giusti, ma la strada percorsa da Roberta Borsani è quella giusta. Un'autrice che terrò senz'altro d'occhio. Magari fatelo anche voi.